. Curiosità e impegno salvano i formaggi dall’omologazione - Verdecologia

Curiosità e impegno salvano i formaggi dall’omologazione

biodiversità – Intervista a Piero Sardo, responsabile scientifico di Cheese.
L’universo dei prodotti caseari è uno dei più ricchi e variegati della produzione alimentare, grazie alla molteplicità di fattori naturali, umani e culturali che ne determinano la qualità.

Pascoli, razze e savoir faire artigianali elaborati nel corso di secoli, ecco gli ingredienti di questa straordinaria biodiversità, della quale però rischiamo ogni giorno di non poter più beneficiare a causa delle troppe strettoie che affliggono il settore.

Abbiamo chiesto a Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus e responsabile scientifico di Cheese, di darci alcuni consigli per continuare a godere di sapori unici e aiutare nello stesso tempo migliaia di casari che nonostante tutto cercano di resistere all’omologazione.

«Alla base della filosofia di Slow Food c’è da sempre la curiosità e la voglia di saperne di più. Quindi, l’invito a chi vuole scoprire il vero gusto di pascoli e latti è di informarsi, pretendere di sapere senza timore alcuno, chiedendo le caratteristiche dei formaggi che portiamo in tavola anche quando acquistiamo nella grande distribuzione. E poi dobbiamo attivarci: facendo trekking in montagna o camminando tra le colline si incontrano i pastori con gli animali al pascolo. È quello il momento migliore per acquistare formaggi prodotti in piccolissime quantità che non avremmo modo di trovare altrimenti.

formaggi3Infine, è indispensabile lasciarsi coinvolgere da reti e associazioni di consumatori per far sentire la propria voce davanti alle istituzioni, far pressione affinché anche la grande distribuzione si apra a produzioni locali e di piccola scala. Noi di Slow Food, ad esempio, abbiamo portato a casa la grande battaglia del latte crudo, una volta stigmatizzato a causa di falsi miti igienisti e oggi un vanto per ogni casaro che rifiuta l’omologazione. E poi le associazioni solitamente hanno i contatti diretti con i produttori, gente che oltre al lavoro ci mette faccia e passione. La rete di Slow Food ci consente di conoscerli, di acquistare direttamente formaggi freschi e stagionati, come accade con i Presìdi in tutto il mondo e ai Mercati della Terra in ogni città che ha deciso di ospitarli».

Sembra tutto così facile, ma concretamente quali strumenti abbiamo a disposizione?
«Faccio solo due esempi, le grandi novità che ci saranno a Cheese. Innanzitutto l’estensione a tutti, pastori e casari, selezionatori e stagionatori, ma soprattutto al pubblico della manifestazione braidese, della possibilità di segnalare formaggi candidati a salire sull’Arca del Gusto. Fino a oggi la lista che ci permette di monitorare l’universo delle piccole produzioni artigianali a rischio di estinzione era stata utilizzata principalmente da tecnici e soci Slow Food in tutto il mondo. Ognuno potrà invece portare a Cheese il formaggio del proprio casaro, farlo assaggiare alla commissione dell’Arca e presentarlo ai visitatori. Grazie a chi aderirà a questa campagna avremo centinaia di lenti di ingrandimento con le quali mappare il territorio nazionale, forse come mai è stato fatto prima. I nostri artigiani sono in gamba e davvero rischiamo di trovare dei tesori nascosti.

L’altra novità riguarda le etichette narranti: avevamo cominciato a lavorarci a Cheese 2011 e allo scorso Salone del Gusto e Terra Madre abbiamo perfezionato il tiro.
Il prossimo settembre, chi visiterà le bancarelle dei presìdi Slow Food troverà tutti i formaggi arricchiti da etichette che vanno oltre l’obbligo normativo del “latte, caglio, sale”, con informazioni dettagliate su pascolo e alimentazione degli animali, tipo di allevamento e tecniche di lavorazione, stagionatura ed eventuale affinamento. Inoltre, le etichette smaschererebbero una nuova emergenza, grave come lo era stato l’abbandono del latte crudo a favore della pastorizzazione, se non di più: l’utilizzo di fermenti costruiti in laboratorio per rispondere in maniera puntuale a ogni esigenza di gusto, con la sicurezza di ottenere il formaggio desiderato e riducendo al minimo il rischio di imperfezioni nelle forme.
È un po’ il parallelo di quello che per anni è avvenuto nella produzione di vino, dove però molti appassionati e produttori hanno cominciato a levare la testa, ribellandosi all’omologazione e scegliendo con coraggio di tornare all’origine. Adesso in molte bottiglie c’è davvero quel vitigno, quel territorio, e tutte le scelte del vigneron, pregi e difetti inclusi. Per i formaggi è su questo punto che oggi si gioca la vera partita della biodiversità».

In questo modo noiformaggi2 consumatori non avremo più scuse rispetto alla mancanza di informazioni. Forse però non tutte le responsabilità sono da attribuire alla nostra pigrizia…

«Non siamo pigri, siamo più distanti dai luoghi e dalle persone che producono il nostro cibo, e la vita quotidiana non sempre ci permette di ridurre queste lunghezze. Una delle strozzature che si stanno acuendo anziché distendersi è data dalla crisi economica: le risorse limitate comportano inevitabilmente una minore attenzione verso la qualità, e la sofferenza del settore turistico ricadrà probabilmente sulle piccolissime produzioni locali, che nelle famose scampagnate di un tempo trovavano un loro mercato.
Un problema storico rimasto ancora irrisolto è quello della grande distribuzione, incompatibile con piccole quantità e difficile reperibilità. Anche la più attenta riesce a raggiungere solo artigiani, sì di grandissima qualità, ma che garantiscono determinati numeri. Se consideriamo che anche le latterie e le case del formaggio sono scomparse, i piccolissimi sono davvero tagliati fuori da qualsiasi possibilità.

L’ultimo intoppo è generato dagli stessi casari che per mantenere l’attività sono costretti a vendere subito le forme a grossisti e stagionatori. Questo porta a due conseguenze: da un lato l’intermediazione fa perdere le tracce della filiera diretta e dall’altro mette in secondo piano gli stessi produttori, che non sono più costretti ad assumersi tutte le responsabilità della produzione. Uno sbocco diverso invece può essere rappresentato dalla ristorazione  – osterie, bistrot e wine bar – che necessita di piccole quantità ma spesso si ferma di fronte alle difficoltà logistiche per raggiungere ogni singolo casaro.
Un esempio di ponte che funziona è rappresentato da quei distributori che setacciano il territorio offrendo ai locali della zona le specialità scovate, come ad esempio accade con le Trazzere del Gusto nel palermitano».

10 luglio 2013

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