ambiente salute e manifattura – Sono scesi a 7,1 miliardi di euro nel 2012, ovvero a meno del 15% del complesso, i danni ambientali e sanitari associati alle emissioni in atmosfera dell’industria manifatturiera, comparto chiave dell’economia italiana che, con 218 miliardi nel medesimo anno, ha contribuito per il 16% al valore aggiunto dell’intera economia: è quanto emerge dal rapporto sull’industria manifatturiera realizzato nell’ambito del programma di ricerca sui costi esterni ambientali dei settori dell’economia italiana, condotto dalla società di ricerca e consulenza economica ECBA Project.
I risultati del focus sull’industria manifatturiera sono illustrati in un articolo appena pubblicato sul n. 6/2013 della rivista Nuova Energia, che riporta i costi esterni ambientali e sanitari associati alle emissioni in atmosfera nel 2012 dei diciannove settori che compongono l’industria manifatturiera. L’articolo propone inoltre un insieme di indicatori, individuati con un approccio ECBA (Environmental Cost-Benefit Analysis), finalizzato a fornire una valutazione quantitativa a livello di branca produttiva delle tre dimensioni principali dello sviluppo sostenibile: quella ambientale, sociale ed economico-finanziaria.
Il settore della manifattura con i maggiori costi esterni ambientali e sanitari è quello del vetro, ceramica, cemento e affini (nella classificazione ATECO dell’Istat tali produzioni sono accorpate sotto la voce “Altri prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi”), con 2,2 miliardi di euro, seguito dalla raffinazione del petrolio, con 1,7 miliardi, e dalla metallurgia, con 1,2 miliardi.
A debita distanza da questo primo gruppo di produzioni di base con elevati costi ambientali e sanitari, segue un secondo gruppo, di sei settori, con un ordine di grandezza delle esternalità intermedio, compreso fra 100 e circa 500 milioni di euro l’anno. In ordine decrescente troviamo in questo gruppo i seguenti settori: prodotti chimici, alimentare, tessile, prodotti in metallo, carta, macchinari e sistemi di riscaldamento.
Un terzo gruppo di dieci settori, in cui predominano produzioni più complesse o di assemblaggio di un mix di materiali, si contraddistingue per costi ambientali e sanitari inferiori ai 100 milioni l’anno. Fra questi, il settore più virtuoso è quello dell’ ”elettronica e strumenti di precisione”, con appena 14 milioni di costi esterni nel 2012, seguito dagli “altri mezzi di trasporto” (cantieristica, materiale rotabile, aeronautica) con 19 milioni e dal settore delle apparecchiature elettriche e di uso domestico (25 milioni). Si comportano bene anche altri settori chiave dell’industria italiana: “autoveicoli” (quinto posto, con 38 milioni), “mobili, giocattoli e altro” (sesto posto, 57), “farmaceutica” (ottavo posto, 73 milioni), legno (nono posto, 74 milioni) e “articoli in gomma e materie plastiche” (decimo posto, 85 milioni di euro).
Ma quali sono i fattori che incidono di più su queste stime e quali gli effetti su ambiente e salute?
Il 56,9% dei costi esterni è dovuto ai macro-inquinanti atmosferici di rilievo sanitario, il 41,4% ai gas ad effetto serra, e l’1,7% alle emissioni di metalli pesanti. Diversamente dal quadro dei costi esterni che emerge nell’indagine di ECBA Project a livello di intera economia italiana, dove le polveri sottili (PM2,5) spiccano come inquinante principale col 35% dei costi esterni complessivi, il fattore di emissione più impattante fra quelli dell’industria manifatturiera è l’anidride carbonica (CO2), principale responsabile dei cambiamenti climatici di origine antropogenica, col 40,1%.
Seguono gli ossidi di azoto (NOx) col 22,2% e gli ossidi di zolfo (SOx) col 16,4%, inquinanti i cui costi esterni sono dovuti principalmente agli effetti sanitari associati alla formazione indotta di particolato secondario a partire da questi due precursori e, per la parte restante, agli effetti di riduzione della biodiversità dovuti ai fenomeni di eutrofizzazione e di acidificazione dei suoli indotti dalle emissioni di NOx e SOx. Nella manifattura, le emissioni di polveri sottili, i cui costi esterni sono interamente ascrivibili ad effetti sanitari (per malattie respiratorie e per mortalità a lungo termine), risultano al quarto posto per importanza, con un’incidenza del 14,5% sui costi esterni di comparto.
“Anche se i consumi di combustibili fossili e le emissioni di CO2 rimangono il principale problema ambientale da gestire per l’industria manifatturiera, va riconosciuto il miglioramento dell’intensità energetica del comparto nonostante la profonda crisi in atto” commenta Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autore dello studio.
“In base alla nostra indagine, le emissioni di CO2 della manifattura si sono ridotte da 111,4 milioni di tonnellate nel 2010 a 101,7 milioni di tonnellate nel 2012, con un miglioramento di quasi il 9% in due anni, ampiamente superiore alla riduzione del valore aggiunto subita dalla manifattura nel medesimo periodo in termini reali, pari al 3%”.
“Il nostro progetto di ricerca sui costi esterni della manifattura rende possibile un confronto di posizionamento dell’impresa rispetto al proprio benchmark di settore – aggiunge Donatello Aspromonte, partner di ECBA Project e co-autore dello studio -.
Inoltre, questo approccio permette, fra l’altro, di quantificare le responsabilità dei singoli fattori inquinanti, informazione essenziale per programmare i necessari interventi di mitigazione, ad esempio, per il settore della “metallurgia”, oggi al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, addirittura il 41% delle esternalità ambientali e sanitarie complessive del settore sono associate alle emissioni di PM2,5, un dato che supera ampiamente quello della CO2, con il 32%. Ora il management aziendale può disporre di un’analisi delle prestazioni ambientali ad alto contenuto informativo, integrabile con i dati di bilancio utilizzati nel rapporto di CSR quando l’impresa comunica la propria sostenibilità”.
21 gennaio 2014