alimentazione – I bambini sono più invogliati a mangiare correttamente se l’approccio con il cibo è legato a esperienze sociali e didattiche positive e gradevoli e a contesti educativi in cui il bambino si senta accolto e ascoltato: lo rivela lo studio “Cibo, cultura e identità – possibili percorsi per la scuola primaria”, presentato i giorni scorsi all’Università di Milano-Bicocca nel corso del convegno “Star bene a tavola: percorsi di educazione alimentare a scuola”, promosso da Regione Lombardia (Assessorato agricoltura e foreste), Dipartimento di Scienze umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale.
Il progetto sperimentale di ricerca e formazione per l’educazione alimentare “Cibo, cultura e identità – possibili percorsi per la scuola primaria”, durato quattro anni, è stato realizzato dal Dipartimento di Scienze umane per la formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, sotto il coordinamento di Elisabetta Nigris, docente di Didattica e Pedagogia Speciale. È stato commissionato dalla Regione Lombardia, coerentemente con il Protocollo d’Intesa “Verso Expo 2015”, sottoscritto nel maggio del 2010 da Regione Lombardia, Unione delle Province Lombarde, ANCI Lombardia e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia.
La prima fase del progetto ha coinvolto inizialmente 15 docenti appartenenti a nove scuole primarie diffuse sul territorio lombardo, e, a seguire, è stato allargato a sette province lombarde, per un totale di circa 150 insegnanti e venti altre figure professionali specifiche (dietiste, dietologi, operatori di ASL e di orti botanici).
Secondo i risultati, il metodo prescrittivo (La frutta fa bene), quello informativo-nutrizionistico, con la spiegazione della classica piramide alimentare, e ancora di più un approccio terroristico e colpevolizzante (Se mangi un certo alimento diventi obeso) non sono efficaci perché sono fortemente legati ai contesti culturali di apprtenenza e non raggiungono i bambini o, addirittura, possono essere controproducenti perché tendono a creare resistenze nei confronti di abitudini fortemente radicate dal punto di vista psicologico.
In aggiunta, l’approccio prescrittivo-nutrizionistico presenta anche dei rischi: stigmatizza i casi a rischio (come bambini obesi, anoressici, allergici) che tendono ad acutizzarsi, attrae poco i bambini perché la dieta sana viene presentata in maniera standardizzata, riduce la partecipazione dei genitori a causa di un approccio troppo medicalizzato e tende a raggiungere soprattutto i bambini provenienti da famiglie acculturate, con una ricaduta non omogenea sulla società e sul territorio.
Al contrario, i metodi pedagogici e comunicativi “indiretti” sono i più adatti per modificare le abitudini alimentari negli adulti e nei bambini, perché veicoli di esperienze positive e gradevoli: ecco allora l’importanza della convivialità e del momento del pasto, del sedersi a tavola a parlare, di coinvolgere adulti e bambini nella preparazione del cibo, o di utilizzare strumenti più indiretti quali immagini, storie o video, che lasciano al bambino la possibilità di aderire – o non aderire – alla proposta educativa seconda i tempi e modi a loro accessibili.
«L’idea su cui si fonda il progetto – spiega Elisabetta Nigris – è quella secondo cui la complessità del rapporto fra uomo e cibo non può essere ridotta e ricondotta a meri contenuti disciplinari e non può prescindere dal fatto che il rapporto col cibo richiama dinamiche relazionali profonde. L’educazione alimentare quindi non può essere tradotta in termini di regole nutrizionali e nemmeno di dettami etico-comportamentali, che non tengano conto delle rappresentazioni individuali, sociali e culturali di cui sono portatori i comportamenti alimentari dei singoli soggetti».
Per raggiungere questi obiettivi è importante incoraggiare una nuova formazione degli adulti, in particolare insegnanti e genitori: il progetto “Cibo, cultura e identità – possibili percorsi per la scuola primaria”, ha previsto un lavoro di formazione degli insegnanti che hanno poi trasferito ai bambini il loro cambiamento, mettendo l’accento proprio sul fatto che l’educazione dei bambini si fonda soprattutto sulla relazione e sul contesto educativo.
«Ho capito che parlare di alimentazione significa ripensare alla relazione con i bambini – ha spiegato un’insegnante che ha partecipato al progetto – Per non sgridarlo facevo in modo di sedermi a tavola con lui, ed era il chiacchierare, l’idea di creare un certo tipo di rapporto e di confidenza per cui lui si sentiva importante e da questo è nato un bel rapporto con me».
La prima fase si è conclusa con un video e con il dossier didattico “Cibo, cultura, identità – Possibili percorsi per la scuola primaria”.
Le altre fasi del progetto, sviluppate su tre anni e concluse nel 2013, hanno esplorato la natura dell’ alimentazione, approfondendone il punto di vista storico ed ecologico, per sviluppare un modo diverso di pensare il cibo, con attività che hanno coinvolto anche alcune fattorie didattiche della Regione.
16 dicembre 2013