rifiuti – Nell’Unione Europea nel 2011 sono stati raccolti 25 milioni di tonnellate di rifiuti plastici,in aumento del 2,4% rispetto al 2010, più che il doppio rispetto al tasso di crescita della domanda di plastiche vergini (+1,1).
E’ quanto emerge dallo studio “Da rifiuti a risorse. Il futuro della gestione delle plastiche”, realizzato dall’Eurispes in collaborazione con il Consorzio PoliEco.
Lo studio sarà occasione di riflessione nell’ambito della V edizione del Forum internazionale sull’economia dei rifiuti, che avrà luogo ad Ischia venerdì e sabato.
Sfatare il falso mito della plastica, e in particolare dei prodotti in polietilene, come un “problema” e, al contrario, vedere questo prodotto come una risorsa, un bene da sfruttare che, correttamente riciclato, può generare una economia verde in grado di creare sviluppo e occupazione.
Va però riformato il sistema della governance nella gestione dei rifiuti orientando – anche promuovendo forme di fiscalità di vantaggio – le politiche ambientali pubbliche e private verso il riciclo di materia e l’acquisto di beni in plastica riciclata e – seguendo gli orientamenti della Ue – impegnandosi nel ridurre al massimo il ricorso alla termovalorizzazione.
È questo l’obiettivo che, da sempre, si è dato il PolieCo, da anni in prima linea nel controllo ed il monitoraggio dei flussi dei rifiuti dei beni a base di polietilene, favorendone la raccolta sul territorio nazionale ed il riciclo in ottemperanza alle norme che regolano la riduzione dei rifiuti avviati a discarica, oggi vietate in Europa per i rifiuti plastici, ed un parallelo minor consumo di questa materia prima, da sempre scarsa in Italia.
Una condizione che aveva portato il nostro Paese ad essere nei decenni passati leader nel settore del riciclo delle plastiche e della ricerca nella produzione di beni in plastica riciclata. Oggi, invece, il ricorso a forme di smaltimento diverse dal riciclo o dalla esportazione di rifiuti plastici fa sì che l’Italia sia diventato un paese povero sia di materie prime sia di materiale riciclato ponendo a rischio tutte le politiche green adottate in questi anni.
Lo studio, fotografa lo stato dell’arte della produzione di materie plastiche a livello mondiale (che mostra un incremento in 10 anni del 3,7%) ed europeo (+1,7%) e analizza le problematiche europee e nazionali legate al riciclo dei prodotti plastici, evidenziando, da un lato, una mappatura che vede i Paesi Ue come diversamente riciclatori, intermediari o rinunciatari (e l’Italia è fra quest’ultimi), dall’altro, un aumento delle problematiche (anche di salute, oltre che economiche) legate all’importazione di beni prodotti con rigenerato di dubbia origine.
Nel 2011, di tutta la plastica richiesta dal mercato nell’UE-27, è stato intercettato un quantitativo di rifiuti pari a 25,1 milioni di tonnellate, in aumento del 2,4% rispetto al 2010, più che doppio rispetto al tasso di crescita della domanda di plastiche vergini (+1,1). In discarica sono finite 10,2 milioni di tonnellate, mentre la quota residua è stata destinata a recupero di materia o energetico, con un tasso pari al 59,1% di tutti i rifiuti raccolti ed al 31,7% dei materiali vergini immessi sul mercato.
Dall’analisi emerge che circa il 25% delle spedizioni di rifiuti inviate dall’Ue ai Paesi in via di sviluppo di Africa e Asia avviene in violazione delle normative internazionali, ma allo stesso tempo, una ingente quantità di beni contraffatti o diversamente pericolosi, arrivano in Europa proprio grazie alla esportazione illecita di una diffusa miniera di materiali che, adeguatamente riciclati in loco, darebbero luogo ad un risparmio notevole ed ad un minor depauperamento di ambiente e risorse nell’ottica della sostenibilità e di un approccio etico all’attività umana.
In Italia, le stime sul mercato della contraffazione parlano di un giro di circa 7 miliardi di euro, che comporta minori entrate fiscali per 1,7 miliardi e una perdita di 110mila posti di lavoro. Tra i settori più colpiti emergono abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro), seguiti da cd, dvd, pirateria informatica e dal comparto agroalimentare (1,1 miliardi di euro). Nel 73% dei casi i beni sequestrati risultano di origine cinese.
Recenti dati forniti dalle dogane europee mostrano la dimensione del fenomeno: nel 2011 è stato rilevato un incremento del 15% dei casi di contraffazione, con percentuali simili in termini di articoli contraffatti (11%) ed il rispettivo valore della vendita al dettaglio (14%). Oltre ad instaurare dinamiche virtuose incentrate sulla valorizzazione della filosofia che in Italia si è tradotta nel marchio di qualità ambientale volontario “rifiuti km0”, un importante aiuto al mercato italiano potrebbe provenire dalla predisposizione di ulteriori incentivi per riciclatori e produttori, sia in termini economici che di servizi alle imprese. Difatti, la contrazione dei prezzi dei prodotti che ne conseguirebbe, costituisce uno stimolo per il consumatore ad acquistare prodotti Made in Italy, spesso penalizzati dall’industria criminale.
Appare quindi evidente l’urgenza di un generale cambio di prospettiva in grado di costruire nuove opportunità. Occorre, da un lato, ripensare il concetto di rifiuti in termini di materiali, ossia valorizzando la risorsa da un punto di vista tecnico-economico; dall’altro, concepire il territorio non solo come elemento di qualità ambientale, ma anche come punto di partenza per un rinnovato impulso del settore in chiave green. È necessaria, inoltre, una maggiore cooperazione tra produttori di manufatti, distributori, consumatori, riciclatori ed altri operatori del settore. Cooperazione per la quale si rende necessaria una rivisitazione del rapporto tra politica e territorio finalizzata sia a fornire adeguate risposte amministrative e gestionali delle realtà con differenti sensibilità e criticità ambientali, sia ad una ottimizzazione dei materiali realizzati sul territorio nazionale.
18 settembre 2013