ecoreati – Vicina al compimento dei due anni la legge sugli ecoreati ha prodotto numeri interessanti sui quali si è soffermata Legambiente, che all’argomento ha dedicato un dossier specifico.
L’introduzione dei ‘delitti ambientali’ ha consentito un utilizzo su tutto il territorio italiano per sequestrare depuratori malfunzionanti, per fermare l’inquinamento causato da attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (il primo delitto ambientale della normativa italiana approvato nel 2001), per intervenire su situazioni di inquinamento pregresso che continua ancora oggi a causare enormi danni ambientali in assenza di bonifica o per fermare attività illegali di vario genere, dalla pesca illegale a Taranto agli scarichi industriali non trattati a Chieti fino all’estrazione abusiva di inerti dalle cave o dai fiumi.
In base ai numeri resi noti da Legambiente sull’azione repressiva svolta dalle forze di polizia e dalle Capitanerie di porto, nel 2016 la legge 68/2015 ha consentito di sequestrare 133 beni per un valore di circa 15 milioni di euro e di sanzionare 574 ecoreati – più di uno e mezzo al giorno – di cui 173 hanno riguardato specificamente i nuovi delitti (30% del totale).
L’azione repressiva delle forze di polizia
Entrando nello specifico dei dati sull’azione repressiva svolta nel 2016 dalle forze di polizia, sul fronte dei delitti contestati, sono 143 i casi di inquinamento ambientale, 13 quelli di disastro ambientale, 6 quelli di impedimento di controllo, 5 i delitti colposi contro l’ambiente, 3 quelli di omessa bonifica e 3 i casi di aggravanti per morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale.
La Campania è la prima regione per il numero (70) di ecoreati contestati. La Sardegna è la regione con il maggior numero di denunciati (126), mentre l’Abruzzo per il numero più alto di aziende coinvolte (16). Il maggior numero di arresti è stato compiuto in Puglia (14), il numero più alto di sequestri in Calabria (43).
Il lavoro delle Procure e dei Tribunali
Il dossier ha messo a confronto anche i numeri emersi dal lavoro delle Procure e dei Tribunali, pubblicati dal ministero della Giustizia, le statistiche delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e la relazione sull’attuazione della legge approvata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. E tutti testimoniano l’incisività delle novità contenute nella legge.
Secondo i dati raccolti da 87 procure (una copertura pari a circa il 53% del totale), nel 2016 si sono registrati 265 procedimenti aperti in applicazione della legge 68, con 446 persone denunciate.
In testa il delitto di inquinamento ambientale (158 casi), 15 le contestazioni di disastro ambientale, 33 i casi di delitti colposi contro l’ambiente, 30 i procedimenti penali per omessa bonifica, 15 quelli per impedimento al controllo, 9 per i casi di morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale, 3 per traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività.
Allargando all’arco temporale che va dal 1 giugno 2015 a fine 2016, la legge 68 è stata applicata in 467 procedimenti penali con 651 persone denunciate. Nel 2015 sono stati 41 i procedimenti giudiziari che si sono conclusi con condanne di primo grado grazie alla nuova legge, mediante patteggiamenti e riqualificazione di reati contestati precedentemente sotto altro titolo.
Le prescrizioni impartire dalle Arpa
Osservando le prescrizioni impartite dalle Arpa notiamo che le stesse sono passate dalle 580 del 2015 alle 1.296 del 2016, le asseverazioni sono aumentate da 183 a 935, mentre il gettito economico che era stato di 491mila euro nel 2015 è salito a 2,2 milioni di euro nel 2016.
Secondo informazioni che la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite al ciclo dei rifiuti ha raccolto da 167 uffici giudiziari tra Procure, Tribunali e Corti di appello (pari al 57% del totale nazionale) emerge che circa il 60% degli uffici giudiziari ha già applicato la legge in tutta Italia, con una maggiore accentuazione nelle Isole e nel Sud.
Le sentenze della Corte di Cassazione
Conferme arrivano anche dalle diverse sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, che stanno fugando alcuni dubbi interpretativi sollevati da alcuni giuristi. A cominciare dalla sentenza n. 46170/16 della Terza sezione penale del 21 settembre – 3 novembre 2016.
Una sentenza scaturita nell’ambito del ricorso fatto dal Tribunale di La Spezia sul sequestro effettuato dal Gip per l’ipotesi di inquinamento ambientale (ex art. 452 bis) per i lavori di dragaggio del «molo Garibaldi» e del «molo Fornelli» del Comune spezzino, procedimento che vede Legambiente costituita quale parte offesa.
A questa sentenza ne sono seguite altre, tra cui quelle sulla pesca illegale a Taranto, su un caso di inquinamento causato da una distilleria in Campania e su un depuratore malfunzionante in Sicilia.
L’introduzione dei delitti ambientali nel codice penale è stata una grande conquista per l’Italia, oggi leader nella lotta agli ecoreati, ed è il primo anello di una catena più lunga, che va costruita con l’obiettivo di innalzare i controlli ambientali per tutelare l’ambiente, la salute e le imprese sane – dichiara il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani -. È fondamentale che siano approvate presto norme che mancano ancora all’appello per completare questa catena della legalità ambientale.
A cominciare dall’approvazione definitiva delle riforma del Codice penale approvata al Senato e ora al vaglio della Camera che prevede un meccanismo di allungamento dei tempi di prescrizione dei reati ambientali contravvenzionali, e da una legge che semplifichi l’iter di abbattimento delle costruzioni abusive, fermando ogni tentativo di norme blocca ruspe come è stato fatto con il ddl Falanga”.
17 maggio 2017