. Progetto COST iPlanta: alimenti più sicuri e basso impatto ambientale

Progetto COST iPlanta: alimenti più sicuri e basso impatto ambientale

agricoltura del futuro – Italia capofila del progetto COST iPlanta finanziato dall’Unione Europea.

Presentato  a Roma, presso la sede del Cnr, alla presenza di oltre 100 scienziati provenienti da 28 Paesi, di rappresentanti dell’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare e di organizzazioni internazionali, il progetto intende mettere insieme tutte le competenze necessarie degli scienziati indipendenti dell’Ue per studiare a fondo la tecnica di miglioramento genetico dell’RNA-interference (RNAi) e trovare soluzioni e applicazioni in agricoltura.

Questa promettente tecnologia si è rivelata utile per migliorare la composizione delle piante, accrescendone i nutrienti, la produttività e riducendone l’impatto ambientale. L’RNAi consente infatti di eliminare le caratteristiche indesiderate delle piante e di migliorarne la qualità e le rese. Inoltre virus, insetti ed altri patogeni potranno Pronto soccorso verde - piante - fioriessere affrontati in modo più efficiente senza ricorrere all’uso di agrofarmaci, creando piante resistenti.

«Questa tecnica consente di sfruttare i meccanismi di difesa della pianta o di modificare il suo metabolismo attraverso il silenziamento dei geni grazie all’RNA, escludendo caratteri indesiderati per migliorare la qualità e la sicurezza», dichiara il Prof. Bruno Mezzetti dell’Università Politecnica delle Marche, che è a capo del progetto COST iPlanta.
«Molti dei meccanismi dell’RNAi, che media il silenziamento, devono essere ulteriormente studiati e il progetto nasce con questo obiettivo, unendo le competenze dei principali esperti europei su questo tema».

Il silenziamento genico post-trascrizionale (PTGS) o RNA-interference (RNAi) è un meccanismo naturale, che può contribuire alla difesa dalle malattie, in particolare contro i virus, ma che è anche capace di inviare segnali nella pianta e tra pianta e altri organismi regolandone lo sviluppo e l’interazione. A differenza della tecnica di ingegneria genetica tradizionale, l’RNAi si basa sull’espresagricoltura2sione di geni che non producono proteine o enzimi, ma solo piccoli frammenti di RNA di interferenza (RNAi) che di per sé non comportano rischi. Le modifiche indotte sono molto specifiche e facilmente identificabili.

Con questa tecnica si possono migliorare le caratteristiche qualitative e produttive delle piante, incrementare il contenuto di nutrienti benefici per il consumatore, eliminare o ridurre gli allergeni e le tossine, le perdite post-raccolta e l’uso di agrofarmaci. Recenti studi stanno dimostrando il ruolo dell’RNAi di alcune piante anche nel controllo di tumori umani.

Diversi gruppi di ricerca stanno già lavorando a progetti sulla RNAi, in particolare per indurre resistenza a virus nelle piante, applicazione già ampiamente dimostrata per questa tecnica. Tra i vari progetti può essere citato quello finanziato dal MIUR-PRIN, per indurre resistenza al virus della Sharka, una malattia che colpisce pesco, susino e albicocco e che negli ultimi trent’anni, nel nostro Paese, ha causato perdite economiche pari a dieci miliardi di euro.

L’obiettivo è quello di ottenere una pianta ingegnerizzata nelle radici ma non nella chioma eagricoltura - orto - coltivazione nei frutti, capace di difendersi dal virus della Sharka grazie alla produzione e traslocazione di RNAi che bloccano la diffusione del virus, con elevata sicurezza per l’ambiente e per il consumatore. Lo stesso approccio lo si sta trasferendo anche per indurre resistenza a virus nella vite e in altre specie importanti per il nostro Paese.
Altri gruppi stanno usando la tecnologia RNAi per indurre resistenze a funghi, per controllare la crescita della pianta o per il controllo della maturazione dei frutti, aspetto molto importante per ridurre le perdite di prodotto nel post raccolta.

Il nuovo progetto quadriennale iPlanta, finanziato nell’ambito del programma Europeo Horizon 2020 – COST (Cooperation in Science and Technology), ha la finalità di collegare i principali gruppi di ricerca attivi sulla tecnologia RNAi in Europa, Brasile, Argentina, USA e di esperti di organizzazioni internazionali come EFSA, FAO e NEPAD (organizzazione per lo sviluppo tecnologico dei Paesi Centro-Africani).
Le attività del progetto sono finalizzate ad approfondire le conoscenze sui meccanismi di controllo e azione della tecnologia RNAi sulle possibili applicazioni in specie coltivate in Europa, sugli eventuali rischi per l’ambiente e sulla salute del consumatore, sugli impatti economici e sociali derivati dalla diffusione di queste nuove piante e infine, ad attuare strategie di comunicazione per agricoltura biodinamicatrasferire al pubblico conoscenze e risultati degli studi.

«L’approccio di ‘filiera della conoscenza’, dalla tecnologia alla comunicazione, dovrebbe essere un modello anche nel nostro Paese per la diffusione di tecnologie, non solo genetiche, e nella valutazione di tutti i sistemi agricoli, anche di quelli promossi senza una valutazione sui reali rischi e benefici», aggiunge il Prof. Bruno Mezzetti.

In questa prospettiva gli scienziati presenti hanno richiesto maggiore attenzione sul tema ai governi e alla Commissione Europea per una maggiore libertà di ricerca su queste nuove tecniche. Sono ancora molti i Paesi, fra cui l’Italia, che non consentono la ricerca in campo aperto sulle piante geneticamente migliorate. Queste tecniche più sicure e meno invasive dovrebbero trovare una maggiore accettazione da parte dell’opinione pubblica e favorire così una presa di coscienza più compiuta da parte dei decisori politici ed instaurare maggior fiducia ed interesse nelle filiere di produzione.

«I processi di conoscenza che i ricercatori mettono in campo ogni giorno sono molto importanti per migliorare il benessere dei consumatori – conclude il Prof. Bruno Mezzetti – noi ricercatori indipendenti chiediamo più libertà per poter portare a compimento il nostro lavoro e creare prodotti più sicuri, produttivi, con un ridotto impatto ambientale e utili per migliorare la salute del consumatore».

16 febbraio 2017

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