sicurezza alimentare – Lo “street food”, il cibo di strada, è sempre più diffuso (nel 2013 è stato consumato da ben 35 milioni di italiani, come riporta Coldiretti) e, soprattutto per chi vive nei paesi in via di sviluppo (Pvs), rappresenta spesso la principale fonte di alimentazione.
Dalla selezione delle materie prime alla loro conservazione, dalla preparazione dei pasti alla scelta del punto-vendita. In ogni fase del processo di produzione e vendita del cosiddetto “cibo di strada” si possono nascondere pericoli tossicologici importanti che necessitano di una valutazione del rischio.
E se negli anni è stata prestata attenzione agli evidenti pericoli microbiologici (che possono dar luogo a patologie gastrointesinali e disordini neurologici), quelli chimico/tossicologici (che possono essere silenti per tanto tempo e avere effetti a lungo termine) sono stati, fino ad adesso, sottovalutati.
Ora, per la prima volta, alcuni ricercatori del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Iss, hanno identificato, in uno studio apparso su Food and chemical toxicology , i principali fattori di rischio chimico/tossicologici associati a questa pratica alimentare, suggerendo, al tempo stesso, alcune pratiche di gestione (Point of particular attention – Ppa).
“Il cibo pronto per il consumo, venduto su banchetti, carretti e furgoni disseminati per le strade – dichiara Alberto Mantovani, dell’Iss, co-autore dello studio – presenta, soprattutto nei Paesi poveri, numerosi vantaggi: è di facile accessibilità, rappresenta una buona fonte nutrizionale, permettendo un’ampia scelta di cibi a buon mercato e, non ultimo, gioca un ruolo rilevante nell’economie di queste comunità, oltre a preservare le culture alimentari locali. Ma proprio per la sua ampia diffusione e importanza ne va garantita la sicurezza: innanzitutto attraverso l’istituzione e l’applicazione di regolamenti appropriati, ma anche, e soprattutto, tramite lo sviluppo di semplici buone pratiche che rendano il cibo di strada conforme ai requisiti di sicurezza anche per i contaminanti chimici”.
“Spesso, infatti, questi stand itineranti sono ubicati nei punti di maggior traffico stradale, nei pressi di stazioni ferroviarie o nelle vicinanze delle fabbriche, per poter sfruttare la pausa pranzo dei lavoratori, e quindi sono facile bersaglio dell’inquinamento atmosferico – spiegano Chiara Frazzoli, dell’Iss, e Ilaria Proietti, dottorata dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, co-autrici della ricerca -. Senza considerare poi che in tutta l’area intorno al banchetto non c’è spesso disponibilità di acqua pulita, di strutture di smaltimento dei rifiuti, né di servizi igienici. Anche le condizioni di conservazione e trasporto del cibo sono spesso carenti dal punto di vista della sicurezza. Quindi occorre considerare la prevenzione del deposito di contaminanti atmosferici, del rilascio di sostanze tossiche da materiali a contatto inadatti e dello sviluppo di micotossine in alimenti (es. frutta secca) mal conservati”.
Gli ingredienti, per poter essere economici, possono provenire da aree poco salubri (ad esempio, pesce catturato in aree contaminate dove la pesca è proibita, carni di animali malati e sottoposti a trattamenti antibiotici e antiparassitari). Contaminazioni indesiderate degli alimenti possono provenire dall’uso improprio di insetticidi o disinfettanti per tentare di ovviare a cattive condizioni igieniche, o dal tentativo di migliorare l’aspetto del cibo con dei coloranti. Taluni metodi di cottura frequenti nel cibo di strada, infine, possono incrementare la presenza di contaminanti, quali gli idrocarburi policiclici aromatici (che si sviluppano ad esempio quando si cuoce alla griglia) o l’acrilamide (quando si friggono alimenti ricchi di amido come le patate) o ancora le amine eterocicliche aromatiche (quando gli alimenti ricchi di proteine vengono cotti a temperature molto elevate).
E allora come conviene comportarsi? Gli autori dello studio hanno individuato una serie di Ppa per poter rendere più sicuro il cibo di strada, anche dal punto di vista chimico-tossicologico. Eccoli in sintesi:
Punto di vendita:
1. Questo dovrebbe essere localizzato in uno spazio protetto da sostanze chimiche presenti nell’atmosfera (idealmente in uno spazio chiuso, ma ben aerato).
2. La preparazione e la vendita dei cibi dovrebbe avvenire in un luogo pulito, ad almeno 15 metri dalla presenza di rifiuti liquidi o solidi.
3. Il cibo esposto dovrebbe essere sempre tenuto coperto.
4. L’acqua usata dovrebbe avere parametri che rispettino gli standard internazionali dell’acqua potabile.
Materie prime e ingredienti:
1. I commercianti dovrebbero essere in grado di certificare la conformità delle materie prime agli standard della sicurezza alimentare relativi ai residui e ai contaminanti chimici applicati al settore della commercializzazione degli alimenti.
2. I venditori dovrebbero conoscere la fonte delle materie prime e degli ingredienti.
3. Dovrebbero rifornirsi da grossisti autorizzati.
Trasporto e stoccaggio:
1. Controllare sempre umidità e temperature dei sistemi di trasporto e di conservazione per ridurre al minimo lo sviluppo di funghi e l’eventuale produzione di micotossine.
2. Durante il trasporto coprire il cibo con materiale idoneo per proteggerlo da inquinanti presenti nell’ambiente.
3. Conservare il cibo in contenitori appropriati per evitare il rilascio di sostanze tossiche.
4. Togliere sia gli alimenti che gli utensili dalla struttura prima di avviare i processi di fumigazione e disinfezione.
5. Utilizzare solo fumiganti e disinfettanti approvati per l’uso in cucina.
Utensili, pentolame e materiali di confezionamento:
1. Acquistare pentolame e utensili solo da rivenditori che rispettano i regolamenti nazionali (se esistono).
2. Usare solamente utensili, pentolame e materiali da imballaggio non danneggiati né deteriorati.
3. Utilizzare strumenti, pentole, padelle e materiali appropriati per i metodi di cottura e l’acidità dell’alimento a contatto, onde evitare la contaminazione con sostanze tossiche.
Preparazione degli alimenti:
1. Non cuocere eccessivamente i cibi ad alto contenuto di carboidrati e proteine, bensì mantenere la temperatura di cottura bassa e costante per un tempo limitato.
2. Scegliere i metodi di cottura più idonei per i diversi alimenti.
3. Fornire un’offerta diversificata di preparazioni alimentari.
4. Usare solamente additivi alimentari consentiti, nella giusta dose e venduti da fornitori autorizzati.
5. Scegliere procedimenti idonei (come la fermentazione) per minimizzare la quantità e l’attività di sostanze ad azione antinutrizionale presenti in alcuni alimenti, ad es., la farina di sorgo.
Questi principi vanno, naturalmente, adattati alle culture locali e tradotti in agevoli materiali informativi indirizzati sia agli operatori dei servizi di sicurezza alimentare sia ai venditori: l’informazione e l’educazione sanitaria sono più importanti della repressione per proteggere il cibo di strada.
19 dicembre 2013