alimentazione del futuro – Dai licheni alle ortiche, dalle alghe agli insetti. Dai boschi alle montagne fino al mare: la natura, quella più selvaggia, mette a disposizione un ventaglio di ‘nuovi’ sapori per la nostra tavola del futuro. La ricerca di cibo selvatico ha un nome ben preciso: si chiama foraging.
“E’ l’attività di raccogliere vegetali o parti di essi adatti al nutrimento umano in ambienti incontaminati come spiagge, boschi, alta montagna, foreste. Nel foraging possono essere inclusi molluschi di mare e di terra e anche gli insetti” spiega Valeria Margherita Mosca, direttrice di “Wood*ing” ed essa stessa forager e chef, in una conversazione con l’agenzia Adnkronos -.
Noi siamo un laboratorio di ricerca sull’utilizzo del cibo selvatico in cucina, facciamo ricerca scientifico-culinaria proponiamo consulenze, ci occupiamo dell’elaborazione di nuovi prodotti, cioè del ‘cibo del futuro’ in quanto risorsa per nutrire le popolazioni”.
Il food lab cerca una ‘possibile e vera’ sostenibilità alimentare che vada oltre il biologico o il concetto di ‘km zero’ e che coniughi identità, biodiversità e tradizioni. E che sia a impatto zero. Il concetto di foraging “veicola messaggi importanti in termini di sostenibilità ambientale e tutela. Perché ha grandi valenze etiche: permette di ricollegarci all’origine della materia di cui andiamo a nutrirci, di riacquistare la connessione con l’ambiente naturale”. E’ un’attività che richiede competenze specifiche su “habitat, botanica, ambiente nel suo complesso per entrare in armonia con esso e rispettarlo”, continua.
I ritmi naturali del wild food, ad esempio, non rispettano le classiche ‘quattro stagioni’. “Noi seguiamo delle microstagioni: alcune piante ci sono solo per alcuni giorni. E’ un lavoro molto lento, slow. Che ci obbliga a seguire le tempistiche naturali”, sottolinea l’esperta. In questo momento “per i forager è un periodo glorioso in quanto si possono ancora raccogliere le parti verdi, quindi erbe e foglie degli alberi, e radici”. Ora, ad esempio, è tempo di: “Prugnolo, sorbo, cinorridi di rosa canina, faggiole, radici di bardana e tarassaco, erbe come piantaggine e tarassaco…”.
Ma il sapore? Secondo Valeria Margherita Mosca i “vantaggi organolettici sono innumerevoli dal momento che ci troviamo davanti a un catalogo di nuovi alimenti che possono suggerire nuove consistenze e sapori. Nel cibo selvatico il gusto è all’ennesima potenza. Un’insalata selvatica ha una serie di sapori e gusti accentuati che non si trovano nel cibo coltivato”.
Non solo. “Il cibo selvatico è molto più ricco di minerali, vitamine e nutrienti” rispetto a quello coltivato. “Perché l’uomo ha selezionato i vegetali da coltivare sulla base di caratteristiche come grandezza, produttività, ecc… Ma l’ortica, ad esempio, ha 25 volte più vitamina C rispetto alla lattuga coltivata. L’abete rosso 8 volte più di un limone. E poi è cibo gratuito”, sottolinea Mosca.
Ma non ci sono ‘solo’ licheni, rosa canina, rabarbaro, rafano o luppolo. Wood*ing ha dedicato un braccio del laboratorio alla ricerca sull’entomofagia: “Noi ci occupiamo di insetti selvatici, non allevati – spiega – Abbiamo fatto esperimenti per un’introduzione nell’alimentazione quotidiana con la camola del miele e della farina e con i grilli. Obiettivo: capire come questo cibo del futuro può essere inserito in un contesto quotidiano”.
Il risultato? “Entusiasmante: sono interessanti sia dal punto di vista organolettico, i toni vanno dall’agrumato al sentore di frutta secca. Gusti diversi che variano a seconda dell’alimentazione dell’insetto”. E “hanno anche altri vantaggi: sono poco impegnativi, contengono un’elevata quantità di proteine e di grassi più sani”. Insomma, ribadisce, “superata l’impasse iniziale, molto psicologica, possono essere interessanti”.
Con Wood*ing, racconta la forager, “ci stiamo concentrando molto anche sulle alghe, dal momento che il mare è uno degli territori più estesi. Sono molto nutrienti, ricche di carboidrati, minerali, vitamine, insomma un alimento completo. Le ricerche si stanno specializzando in quel senso”. Insomma una grande varietà di soluzioni per un diverso modo di intendere l’alimentazione guardando al futuro del pianeta. Fondamentale, però, non improvvisarsi cercatori di cibo selvatico, è necessario seguire corsi o chi ha studiato a fondo la materia. “Perché può essere anche pericoloso. Un ‘sosia’ cattivo può essere tossico o anche mortale, non basta comprare un libro”, avverte.
30 settembre 2015