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Con più omega-3 e 6 diminuisce rischio infarto

benessere e alimentazioneFrutta secca, pesce, verdure a foglia, olio di semi. Mettere più spesso nel piatto questi alimenti, ricchi di acidi grassi omega-3 e omega-6, potrebbe abbattere il rischio di infarto.

Misurata per la prima volta in una popolazione italiana, la correlazione tra livelli ematici di acidi grassi polinsaturi (omega-6 e omega-3) e il rischio di un evento acuto coronarico (infarto miocardico), nello studio AGE-IM, condotto da Nutrition Foundation of Italy con il supporto di 5 UTIC Unità di terapia intensiva coronarica distribuite sul territorio nazionale (Bologna, Cremona, Ancona, Napoli e Palermo).

Pubblicato su Atherosclerosis, lo studio (abstract), confrontando soggetti infartuati e sani (gruppo di controllo) mette in luce una riduzione del rischio di infarto miocardico fino all’85% associata ai livelli ematici più elevati di omega-6, e del 65% per i livelli più elevati di omega-3.
Questi dati sottolineano che entrambe le classi di polinsaturi hanno un ruolo protettivo. Un’alimentazione più ricca di questi acidi grassi essenziali potrebbe pertanto svolgere un ruolo favorevole nella prevenzione cardiovascolare, sia primaria e sia secondaria.

“E’ la prima volta che questa correlazione viene messa in luce anche in Italia”, sottolinea Franca Marangoni, responsabile ricerca di Nfi.

“Nonostante gli studi caso-controllo come questo non possano dimostrare una relazione di causalità tra i parametri considerati”, precisa Salvatore Novo, direttore di Cardiologia al Policlinico Giaccone di Palermo, a nome dei cardiologi che hanno partecipato alla ricerca, i risultati suggeriscono “l’esigenza di aumentare l’apporto alimentare di fonti di omega-6 (oli di semi, frutta con fuscio e vegetali in generale) e omega-3 (soprattutto pesce) nella popolazione ad alto rischio” cardiovascolare.bancarella frutta e verdura

“L’integrazione farmaco-dieta rappresenta uno strumento fondamentale nella riduzione del rischio infarto”, aggiunge lo specialista. Il nuovo studio conferma invece come, nella dieta tipo degli italiani, non siano presenti concentrazioni sufficienti di acidi grassi omega-3 e omega-6.

Dalla ricerca è emerso che i consumi totali di acidi grassi polinsaturi erano pari a circa 9 grammi al giorno (il 5% delle calorie), mentre le raccomandazioni internazionali suggeriscono, per gli omega-6, un apporto pari al 5-10% delle calorie totali. Lo studio conclude infine che entrambe le classi di acidi grassi polinsaturi hanno un ruolo protettivo.
Cadrebbe quindi l’ipotesi che l’apporto corretto di polinsaturi debba essere calcolato come rapporto omega-6/omega-3, da mantenere il più basso possibile.

“In realtà – chiarisce Andrea Poli, direttore scientifico di Nfi – queste due famiglie di acidi grassi” cosiddetti ‘essenziali’, ossia non producibili dall’organismo, ma da introdurre con la dieta, “svolgono ruoli diversi e complementari. E ambedue sono consumati mediamente in quantità insufficienti nella dieta italiana moderna. Le evidenze disponibili – conclude – suggeriscono che dobbiamo aumentare sia l’apporto alimentare di omega-6 sia quello di omega-3”.

Gli acidi grassi omega-3 e omega-6 sono (acido alfa-linoleico, Epa, Dha) sono contenuti in quantità elevate in noci, verdure in foglia e pesci (pesce azzurro, salmone, merluzzo, trota), mentre gli omega-6 (acido linoleico soprattutto) in oli di semi (mais, girasole, soia, vinacciolo) e frutta secca (mandorle, pistacchi, noccioli, arachidi).

25 marzo 2014

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